Ho seguito in streaming, pur
senza potenti mezzi tecnologici, gli
Stati Generali della cultura, promossi da
Il Sole 24 Ore (sulla scia del Manifesto per la Cultura pubblicato mesi addietro)
che si sono svolti quest’oggi a Roma nel Teatro Eliseo.
A parte il fatto che lo sport
della giornata è stato un continuo “daje al ministro”, bisogna tuttavia dire
che il pubblico, costituito prevalentemente da operatori del settore, quindi
sicuramente inferociti per la totale non considerazione, spesso anche disprezzo
della loro attività da parte delle istituzioni (e, probabilmente, anche dei
comuni cittadini, che, nella migliore delle ipotesi, ritengono il loro impegno
come qualcosa di attinente più “al divertimento” che non una reale attività),
vessati dai tagli alla cultura e pressati da un precariato infinito, aveva
molte ragioni.
Innanzitutto l’autoreferenzialità
degli interventi iniziali: doveva essere una tavola rotonda, e invece ognuno
aveva preparato un intervento quasi fossero delle monadi impossibilitate ad
interagire tra loro. I ministri, Ornaghi incluso (che dovrebbe essere quello
preposto al Ministero dei Beni e delle Attività Culturali) balbettanti, tranne
Barca, che però si è limitato in un certo senso a scaricare colpe sul governo
precedente, reo di aver millantato progetti non esistenti, in special modo sul
caso Pompei, e a scoperchiare un vaso di Pandora che in realtà tutti noi del
settore avevamo, come dire...sospettato? Pare infatti che nei pubblici uffici
preposti alla gestione della cultura non ci sia gente in grado di scrivere
progetti e, addirittura, scrivere bandi (come è stato successivamente precisato
dal sempre ottimo Pier Luigi Sacco)!
Chi l’avrebbe mai detto, vero? In
fin dei conti è solo un caso che l’Italia sia stata costretta finora a restituire
buona parte dei fondi europei per incapacità ad utilizzarli, o no?? Ed è anche
un caso che, mentre incapaci funzionari bivaccano nei ministeri, la maggior
parte dei giovani competenti che si sono formati in questo settore siano spesso
costretti ad emigrare per non rimanere senza lavoro in questo paese, vero?
Ad ogni modo, unico a raccogliere
applausi in mattinata, il presidente Napolitano: con una lucidità che nemmeno
un trentenne, ha sciorinato problemi, errori e debolezze del sistema, ma ha
anche lanciato spunti propositivi. La dice lunga il fatto che in un paese come
l’Italia la persona che appare più moderna sul tema cultura sia un ottuagenario…
Il pomeriggio è stato di livello
decisamente superiore, grazie agli interventi (contenuti come tempi, ma densi
di contenuti) di docenti, operatori e ricercatori: Emmanuele Emanuele della
Fondazione Roma, che ha sottolineato la necessità di sussidiarietà dell’intervento
privato sui beni pubblici; il mitico professore Pier Luigi Sacco, che, dopo aver fatto notare che solo oggi in Italia dei ministri hanno parlato di "industrie creative" (terminologia in uso nel resto del mondo da almeno vent'anni), non vuol
sentir parlare di patrimonio culturale come “giacimento” da sfruttare, bensì
come “capitale relazionale” che crei comportamenti; l’ottimo Walter Santagata
che chiede un ministero per la cultura in toto; Guerzoni che, unico, parla di
banda larga e della necessità di tutelare i progettisti culturali (!) e altri
ancora che non sono riuscita a seguire attentamente, alle prese con
trasposizioni varie…
A conclusione, un arrancante
intervento del ministro dello sviluppo economico, Corrado Passera, che è
apparso totalmente estraneo al contesto, pur sottolineando la necessità, già
espressa da gran parte dei relatori, di curare la formazione culturale fin
dalla prima infanzia, e di consentire ai giovani la sperimentazione nell’impresa
culturale, accettando anche il rischio di errore.
Notazione, quest’ultima, che
condivido solo in parte: ritengo infatti propedeutica alla sperimentazione in
ambito culturale una buona base formativa specifica, al fine di non sperperare
denaro pubblico in forme di start-up giovanili non in grado di autosostentarsi una
volta conclusa la fase di lancio finanziata… (e su questo potrei aprire un
capitolo a parte, ma mi fermo qui.)
Un aspetto che mi ha molto
impressionato è stato il fermento sui social network, soprattutto su twitter,
dove c’è stato un instancabile live twitting per tutta la durata dell’evento: a
significare che, pur nelle difficoltà nelle quali versa l’ambito culturale, che
spesso somiglia ad una “nebulosa
indefinita”, ci sono ancora giovani e meno giovani che credono nel valore
fondante della cultura.
E, almeno questo, lascia
intravedere un filo di speranza...